25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne
Letto 22
Mentre il bip bip della macchina, cui era attaccata con alcuni tubicini, scandiva il tempo indolente della stanza d’ospedale, soltanto il movimento rapido dei globi oculari dietro le palpebre faceva intuire che fosse viva. Lei però era vigile, ascoltava quello che dicevano i presenti, capiva il senso delle loro parole, e non aveva potuto fare a meno di ridere tra sé alla battuta del fratello sul numero del suo letto, il 22, che nella Smorfia indica “o’ pazz’ ”. Sì, suo fratello aveva ragione, era stata proprio pazza a non denunciare il suo compagno, quando, a un mese dal matrimonio, si era presentato a casa con un alone di rossetto sul polsino candido e, alle sua pretesa di una spiegazione, aveva risposto schiaffeggiandola fino a scheggiarle un incisivo.
Poi le cose erano addirittura peggiorate e quella mattina avevano raggiunto il culmine. Non ne poteva più delle sue scappatelle e dei ceffoni, perciò aveva preparato i bagagli per tornare dai suoi. Lui, alla vista delle valige, aveva reagito male, era come ammattito e inveendo, aveva iniziato a picchiarla. Il coltello, comparso dal nulla nelle sue mani, le aveva fatto capire di non avere scampo. Indietreggiando per schivarne i fendenti, si era ritrovata intrappolata sul balcone a ridosso della ringhiera, finché, disperata, l’aveva scavalcata. La lama, che le si era conficcata nel fianco esposto, mentre si issava sulla balaustra, le aveva causato un dolore acuto e sentiva scorrere il sangue lungo la coscia. A quel punto aveva deciso di lasciarsi cadere giù. L’atterraggio di schiena era rimbombato come una deflagrazione nella cassa toracica e non era riuscita più a respirare. Il buio, calato di colpo, e la sensazione che stesse per morire, si era poi dissipato. Le voci, i rumori, via via più nitidi, le stavano confermando che era avvenuto un miracolo: era viva.