Maria Varricchio recensisce “Solo una storia privata”

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L’impressione che mi ha lasciato la lettura del romanzo “Solo una storia privata” di Rosaria Patrone, Marco Del Bucchia Editore, collima con una mia personale convinzione e che penso coinvolga molte persone: nella vita di ciascuno di noi c’è quello che si potrebbe definire l’anno zero, il momento che segna la rottura di equilibri emotivi e relazionali sia in rapporto al mondo esterno, sia soprattutto nel nostro mondo interiore. Ci sono eventi di tale portata che segnano una censura tra il prima e il dopo, tra ciò che è finito per sempre e ciò che va ricostruito appunto da zero. Ed è quello che accade a Silvia, la protagonista del romanzo, che nel giro di pochi mesi vede finire la sua storia con il compagno Andrea ed è vittima di un agguato di camorra nel centro di Napoli, da lei scelta come seconda patria fin dagli anni dell’università.
Lascio ai lettori la curiosità di scoprire il nesso tra le due ferite, quella fisica e quella emotiva, mi preme piuttosto sottolineare che il riferimento a questi due eventi così importanti non deve far arrivare ad affrettate conclusioni. Il romanzo, infatti, non è il racconto della fine di una storia d’amore, almeno non solo; questa sarebbe una banalizzazione e una semplificazione che non renderebbe giustizia al libro.
Io penso che uno dei temi centrali del romanzo sia il cambiamento, che è prima esterno e coincide con il conto che prima o poi ci presenta la vita; può essere un incidente, un abbandono, una perdita. Come si vive o sopravvive a questi eventi? La risposta parte necessariamente dal di dentro, dalle risorse emotive, affettive, culturali che sono parte di noi e che sono le nostre riserve quando gli equilibri cui eravamo abituati si rompono. Per approfondire questo aspetto mi limiterò solo a ricostruire cronologicamente la vicenda di cui Silvia è protagonista. Piena di entusiasmo lascia il borgo di montagna in cui è nata e vissuta fino a 19 anni per studiare e vivere a Napoli. Qui conosce Andrea, che sarà il suo compagno per venti anni, fino a quando non irromperà nelle loro vite un’altra figura di donna, molto più giovane di Silvia e dello stesso Andrea, per la quale l’uomo la lascerà. A distanza di qualche mese Silvia rimane coinvolta in un agguato di camorra, rischiando di perdere la vita. Sono due colpi tremendi, due tradimenti consumati nella città di Napoli e dalla città in cui Silvia si è formata. Quando ho usato l’espressione anno zero mi riferivo a questo. Silvia ha perso il suo centro, quello attorno a cui ognuno di noi fa girare la propria vita. Deve andare via da Napoli, non ha altra scelta. Deve cominciare quel processo di decantazione che servirà a ricostruire un altro equilibrio. Silvia ha bisogno di un altro tempo e un altro spazio per ricominciare, deve tracciare una necessaria distanza geografica e temporale da quanto è accaduto.
E ciò può avvenire solo ritornando alle origini. È il momento di tornare nel borgo natale, dove il tempo scorre più lento, dove tutto sembra sempre uguale e proprio per questo ci si sente rassicurati. Ed è da qui che in realtà prende l’avvio il romanzo. Napoli e la storia con Andrea già appartengono al passato, che ancora non è lontano abbastanza come non è lontanissimo il borgo dell’entroterra campano dal capoluogo. La Napoli del presente è lo scenario in cui si muovono Andrea e la sua nuova compagna, scatenata e umorale proprio come la città in cui è nata. Silvia, invece, non appartiene più a quello spazio e a quel tempo e, pur non disconoscendo il suo passato, ricomincia a vivere proprio nel luogo che, piena di speranze, aveva lasciato a venti anni. Ma la sua non è una fuga, né si è mai illusa che potesse trattarsi semplicemente di questo. Tra le pareti della casa in cui è cresciuta comincia l’analisi necessaria, a tratti dura, della sua ventennale relazione con Andrea e del suo rapporto con la città di Napoli: è una sorta di bilancio di quanto ha avuto e di quanto ha dato. Sia l’ex compagno che la città escono con il volto un po’ ammaccato dal match che si gioca nella mente di Silvia, ma non c’è rancore né verso l’uno né verso l’altro. Il tempo, dopo l’anno zero, può ricominciare a scorrere solo con l’accettazione della verità di promesse non mantenute e di inganni subiti. Ma, anche se si riesce ad essere onesti con se stessi, la costruzione di un nuovo equilibrio non è affatto scontata: rimane una sfida e c’è sempre il rischio di non agganciare la realtà e la vita, che scorrono senza sosta e non perdonano chi si attarda o prende tempo. Ricominciare a vivere, in ultima analisi, rimane la più grande scommessa per chiunque giochi la partita dell’esistenza. Anche per questo la conclusione rimane sospesa. Noi non sappiamo cosa accadrà ancora a Silvia, né può saperlo lei. Ci vorrebbe un libro lungo quanto la vita. Ma il bello è proprio questo: la rinascita è appena cominciata.