Recensione di Anna Lattanzi di Mangialibri

Fonte www.mangialibri.com

ARTICOLO DI: Anna Lattanzi

IL GENE MALEDETTO

“Mi chiamo Lorenzo, anzi mi chiamavo: sono morto a soli 27 anni di fibrosi cistica, una malattia ereditaria che non perdona”. I medici definiscono la sconcertante diagnosi pochi mesi dopo la sua nascita e la disperazione dei genitori, in particolare della mamma, non ha luoghi e non ha confini. Lorenzo ne comprende la gravità solo nell’età adolescenziale, quando assiste alla morte di alcuni compagni di ospedale, cosa che non lascia più spazio a dubbi. Uno degli avvenimenti o circostanze che più lo lascia perplesso è la reazione di suo padre di fronte alla realtà. Non può aver trasmesso lui la malattia a suo figlio, perché nella sua famiglia nessuno ha mai contratto un male simile a quello. Non serve a nulla anche la spiegazione dei medici “…una patologia genetica autosomica recessiva” e questo significa che i suoi genitori gli hanno trasmesso un allele malato cadauno. Niente! Impossibile! Il suo DNA non è assolutamente malato. Crede forse che da lui ci si debba attendere solo la perfezione? Questi pensieri o convincimenti lo inducono a vivere l’iter della malattia di suo figlio come se la cosa fosse a lui estranea e probabilmente anche la sua morte scivola via come se fosse quella di un conoscente, preso com’è nelle sue personali disquisizioni riguardo quegli inspiegabili accadimenti e sconvolgimenti createsi nel corpo di suo figlio. Come ha fatto ad approdare quel gene malato? Sarà mica colpa del caso? Oppure colpa del destino o ancora meglio dell’inquinamento cosmico che ormai attanaglia le nostre vite? La reazione della sua mamma, invece, è tutt’altra. 

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Recensione “Il gene maledetto” di Gabriele Ottaviani

di Gabriele Ottaviani

Il terremoto di qualche decennio prima aveva imposto regole di riedificazione rigorose: gli edifici non potevano avere più di due piani, e questo, in fabbricati come quello in cui ero andato ad abitare, consentiva di avere pochi condomini. Io ne avevo solo uno: Maria Volino, cosi era scritto sul citofono, una tizia che si muoveva come un autoblindo, spostava mobili con la frequenza delle esposizioni nelle mostre mercato. Non avrei però potuto giurare che a produrre tutto quel fracasso fosse davvero lei o qualche spirito indomito che fluttuava nel suo appartamento. Quando, a tre o quattro giorni dal mio arrivo nel palazzo, suonò alla mia porta, mi trovai di fronte una ragazza sui ventisette anni, bruna, dagli occhi di un grigioverde indeciso e alta quanto me, fasciata in una tuta attillata verde scuro, che metteva in evidenza una muscolatura tonica. 

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