La polvere di Natale
Al 75 di Vicolo delle Stelle, traversa di via Toledo, che si inerpica fin nel cuore dei Quartieri Spagnoli, ci abitavano i signori Innecco. Da alcuni giorni le finestre erano chiuse e non si sentivano rumori o voci dall’interno. Nessuno entrava o usciva. C’era sempre stato un gran via vai nel loro ‘basso’, sin da quando avevano comprato il bilocale, con annesso uno stanzone, un vano molto ampio, illuminato da una fenditura lunga e stretta, e arredato con due tavolacci, ognuno con su un paio di bilancini di precisione.
L’otto dicembre, Agnese aveva addobbato il portoncino di casa con una corona di pungitopo finto e, davanti all’ingresso del basso aveva messo un abete agghindato con luci, palline argentate, e una spruzzata di polvere candida.
Antonio, il marito, come tutti gli anni, aveva costruito con grande maestria il presepe, che occupava metà del soggiorno e che tutto il quartiere gli invidiava, tanto da fare a gare per eguagliarlo.
Il Natale nel Vicolo delle Stelle inziava solo quando al civico 75 erano terminati gli allestimenti per la natività.
Riccardo, il sedicenne del palazzo di fronte, che fino a qualche giorno prima sedeva a uno dei tavoli dello stanzone con gli Innecco, ora guardava pensoso il basso chiuso e muto.
I suoi genitori gli avevano chiesto più volte di cosa parlasse quando restava da loro, finché si erano arresi alle sue risposte vaghe e distratte. In fondo, erano contenti che il loro ragazzo li preferisse ai coetanei poco affidabili della zona.
Mentre fissava la casa dei suoi dirimpettai, quasi volesse penetrarla con lo sguardo, toccava nervoso, la pagina della cronaca de Il Mattino, dove spiccava a grandi caratteri, la notizia della morte per una dose di eroina tagliata male di tre napoletani, due maschi e una femmina tra i 17e i 19 anni. In oltre sette giorni aveva letto e riletto quell’articolo così tante volte che lo avrebbe potuto ripetere a memoria, eppure non riusciva a staccarsi da quei fogli. Provava a visualizzare i volti dei tre giovani, ma non sapeva se immaginarli vivi, oppure nella rigidità inespressiva della morte. Lui della morte non ne sapeva granché, l’aveva sempre pensata come qualcosa di lontano, di cui, se mai, preoccuparsi da vecchio, quella vicenda però lo aveva scosso e voleva capire cosa significasse morire a quell’età e per droga. Non si era mai reso conto, come in quel momento, che quello che faceva dai vicini potesse avere conseguenze gravi. Da quando aveva finito le medie, aveva cercato invano un lavoro che gli permettesse di portare qualche soldo a casa e di soddisfare lo sfizio di comprarsi una piccola moto. Poi gli Innecco lo avevano coinvolto nella loro attività e ogni desiderio gli era finalmente sembrato realizzabile.
La notte precedente li aveva sognati intenti a chiudere quella che chiamavano “la polvere di stelle” in piccoli sacchetti rossi, invece che in quelli trasparenti. “Lo sai che il Natale è vicino – gli dicevano tra il serio e il faceto, mentre l’uno pesava e l’altra riempiva e sigillava le buste, – e che tutto deve essere fatto in modo da onorare la nascita di nostro Signore?” Quindi Agnese gli aveva allungato una confezione di cento sacchettini scarlatti e lo aveva invitato ad aiutarla.
Se ne stava ricordando solo ora, a fine giornata, e si chiedeva se quel sogno fosse legato a quanto riportava il giornale: “a fianco dei cadaveri sono state rinvenute bustine di plastica rosse”. Era confuso e avrebbe voluto parlarne con i suoi genitori, ma sapeva di non poterlo più fare, avrebbe dovuto pensarci prima di iniziare a fare i lavoretti per i signori Innecco. Ora che sapeva, avrebbe dovuto spiegare anche in cosa consistevano, li avrebbe dovuti informare che non era vero che faceva i conti degli incassi dei piccoli presepi artigianali che Antonio costruiva e vendeva a San Gregorio Armeno. Lui faceva ben altro e fino a quel momento, finché non aveva avuto il dubbio di avere una parte in quelle tragiche morti, ne era soddisfatto, finalmente poteva portare a casa dei bei soldini e metterne da parte un po’ per il motorino. Di consegne, ne aveva fatte poche e solo per sostituire qualche addetto allo smistamento che aveva dato forfait. L’ultima risaliva a nove giorni prima, la mattina della vigilia di Natale, quando era andato in via Tasso, in uno dei quartieri bene della città. E, nonostante il giornale riportasse il nome della strada che proseguiva proprio da via Tasso, non riusciva a togliersi dalla mente che forse uno dei tre morti per overdose lo aveva guardato negli occhi mentre incassava i suoi soldi. Era un tipo alto, bruno, paffuto e con qualche brufolo, e gli aveva quasi strappato dalle mani il pacchetto. Non aveva avuto modo di accertarsi del colore delle buste contenute nel pacco. Avrebbe dovuto chiedere ad Agnese, che però era sparita con Antonio appena si era sparsa la notizia della tragedia. In realtà, non erano scappati: la notte del 24 aveva distinto le due sagone dietro una finestra, si erano più seplicemente/solo trincerati in casa e non rispondevano al campanello che squillava a più riprese.
Il Natale, senza la loro partecipazione, era trascorso come se il quartiere fosse a lutto. L’assenza dei canti natalizi, che ogni anno, dall’alba del 25 dicembre fino a notte inoltrata, salivano dal loro basso, creando un’atmosfera intima e quasi magica, aveva spinto il vicinato a fare le più svariate supposizioni su di loro e alcuni avevano iniziato a far girare la voce che nascondessero qualcosa di losco. Alle quattro del mattino di Santo Stefano, invece, era stato un rombo di motori a invadere Vicolo delle Stelle: la volante della polizia si era fermata di traverso davanti al numero 75, subito seguita da una seconda, svegliando di soprassalto Riccardo e i suoi. Allarmati si erano messi a spiare dalle persiane della finestra che si apre sulla viuzza, e avevano visto cinque poliziotti agenti entrare.
Poco dopo, Antonio e Agnese erano usciti ammanettati e sorretti da due poliziotti, mentre dalla casa arrivavano rumori di smantellamento, di vetri rotti, di tonfi forti, di disastro.
Riccardo immaginava che anche l’albero e il presepe fossero stati fatti a pezzi e sentiva un morso allo stomaco per tutto quel lavoro e quella bellezza mandati all’aria in pochi minuti.
Dopo un’ora circa, i poliziotti lasciarono la casa, portandosi dietro alcuni sacchi di plastica pieni a metà. Poi sigillarono il portone con del nastro adesivo e ci attaccarono un cartello con scritto: immobile sottoposto a sequestro. Durante l’affissione, la coroncina di pungitopo sintetico era saltata sull’atro lato della via, quasi sotto la sua finestra. Riccardo, osservandone la traiettoria, aveva deciso che, appena gli sbirri se ne fossero andati, l’avrebbe recuperata. Era tutto quello che rimaneva di quel Natale, l’ultimo della sua innocenza.
Senza rifletterci troppo, si disse che era tempo di ripresentarsi al bar dove aveva lavorato come garzone, prima che lo reclutassero gli Innecco e dove avrebbe consegnato caffè e pasticcini senza doversi preoccupare che una quantità eccessiva di uno dei due potesse portare alla morte. Al motorino ci avrebbe pensato più in là.