LUCA: 7 anni

Teschio a coloriNella cantina era al sicuro, si ripeteva, nessuno lo avrebbe trovato, se lui stesso, per controllare che fosse ancora lì, faticava a farlo emergere da quel cumulo di cianfrusaglie.

La madre, lì dentro, ci riponeva poche vecchie cose, mentre il padre ci passava più tempo a fare piccoli lavoretti di riparazione, soprattutto ora che era disoccupato.

Gli incubi erano iniziati la notte stessa che lo aveva scovato dietro la siepe del giardino, subito sotto un dito di terra.

Si era incuriosito per via di Bruno, il suo meticcio, che scodinzolando girava intorno a quel piccolo quadrato di terreno, per poi abbaiare forte quando lui, scavando con le mani, lo aveva dissotterrato. Appena Luca lo aveva visto, si era ritratto per lo spavento, finché una specie di urgenza aveva vinto la paura, spingendolo ad avvolgere il teschio nel gilè e a nasconderlo in cantina. La notte aveva sognato che il papà, dopo aver litigato furiosamente con quell’antipatico del vicino, era corso a prendere il fucile per sparargli. Il colpo lo aveva svegliato e, ancora con il cuore in gola e tutto sudato, ci aveva impiegato un po’ prima di capire che era nel suo letto, e che era stato solo un incubo.

Adorava il suo papà, era il suo idolo, il suo eroe, l’eroe che ogni giorno tornava dall’inferno, come gli ricordava la mamma nel periodo in cui lui lavorava all’acciaieria.

Era quell’immagine che non riusciva a mandare via, e poi cosa significava venire via dall’inferno?

Non poteva essere un diavolo, il padre, lui sapeva che era buono, lo era con lui e con la mamma, ma forse non lo era stato con il signor Mario, quel vicino che, circa un anno prima, era sparito e nessuno ne aveva saputo più niente.

Il signor Mario, lui, sì, era molto cattivo, aveva avvelenato Bianca la sua cagnetta e due gatti, uno randagio, e l’altro che viveva nella villetta di fronte, perché facevano i loro bisogni nel suo viale.

Allora aveva creduto che il suo papà gli avrebbe dato una lezione esemplare, ma la madre diceva che in certe cose era un rammollito, non avrebbe fatto nulla per vendicare il cane di casa.

Luca stesso, singhiozzando, lo aveva pregato di ammazzare quell’uomo malvagio con il fucile da caccia che teneva rinchiuso in vetrina, invece lui lo aveva ammonito e gli aveva spiegato che uccidere qualcuno è un reato grave e che sarebbe finito in galera e dopo all’inferno, quello vero.

Da allora non aveva più pensato a lui come al suo eroe, anche se sapeva di volergli ancora bene.

Era stato quel teschio a fargli ritornare alla mente quei fatti, e ora era certo che il papà avesse sparato al vicino, di notte, per poi sotterrarlo nel giardino.

Quando risaliva dalla cantina, che ispezionava ogni giorno, si metteva a fissare il padre, qualsiasi cosa stesse facendo, e con un’espressione compiaciuta, ripeteva tra sé che chi spara al vicino cattivo, non può che essere un eroe: nei film era quasi sempre così.